mercoledì 27 novembre 2013

Hello! I must be going - Come la prima volta




Il sapore Sundance si avverte fin dalle prime inquadrature, e si dipana nel corso del film partendo dal disagio e da tutte quelle intime, ma devastanti, esplosioni che mettono alla prova i protagonisti.
Hello! I must be going di Todd Louiso, è infatti il dramma (soprattutto) interiore di Amy Minsky/Melanie Lynskey, una donna appena lasciata dal marito e in apatia totale da più di tre mesi. Chiusa in casa dei genitori sempre con la stessa maglietta, "quella con il fulmine sulla tetta", come dice la signora Minsky.

Lacrime davanti alla tv, con i film dei fratelli Marx e ogni tanto una parola, seppur spicciola, di conforto da parte del padre, quello che sembrava capirla meglio. Amy amava sentirsi sposata, condividere la vita con un uomo in carriera, con tutte le conseguenze che questo comporta. Certo non fino alla storiella extraconiugale con la collega. Non saranno i vari tentativi dei genitori di Amy a sbloccare la sua indifferenza alla vita, bensì l'incontro con un ragazzo molto più giovane di lei.


I film indipendenti americani mi pare abbiano tutti, o quasi, questa capacità di arrivare allo spettatore attraverso l'intimità dei personaggi. Facendo muovere le loro vite all'interno delle mura domestiche, gli interni di un supermercato o i sedili di un'automobile; puntando tutto su ciò che anima l'essere umano a partire da "dentro". Ora, non so se la cosa sia condivisibile da più parti. Però io vedo questi film e mi ritrovo sempre a riflettere su questo. Visto da poco anche The good girl di Miguel Arteta, e anche lì al centro c'era il disagio di una donna. La difficoltà nel gestire la propria vita, apparentemente inutile e vuota. Finché l'incontro con un ragazzo non le cambia prospettiva. E' questo che ti rapisce, secondo me, di questi film.

I protagonisti non sono i divi che si esibiscono in performance attoriali stupefacenti, no. Sono esseri umani che si prestano ad incarnare quelle stesse sensazioni e quegli stati d'animo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. L'inadeguatezza, la sensazione di non essere mai al proprio posto e per quanto mi riguarda di Amy sapete cosa ho amato di più? La sua consapevole accettazione del fatto che tutto ciò che lei faceva, era un investimento che non le avrebbe portato frutti (economicamente parlando). Ecco perché non aveva più senso fotografare i fiumi, così come non aveva senso concludere la sua tesi specialistica. Amy incarna anche la sensazione di rompere tutto ciò che si tocca, di perdere quel che di buono la vita ci offre e non capirlo mai in tempo. 


La storia con il giovane Jeremy darà a Amy la voglia di ritornare a vivere. Perché a una donna a volte basta sentirsi amata davvero, senza dover convivere con alcun disagio o senso di inadeguatezza. Stare con un uomo e non sentirsi mai fuori posto, o sbagliata. Guardare tua madre e capire che non è poi tanto più forte di te, anche se il suo ruolo la vuole sempre in ordine e sorridente. Finché il sorriso non torni a illuminare il viso, e un viaggio a zonzo per il mondo insieme a tua madre, conceda ad ogni storia che si rispetti, l'epilogo perfetto. 

Perché il mondo è pieno di bellissimi fiumi...


2 commenti:

  1. seguo con estremo interesse il sundance, perchè i film che escono da lì mi colpiscono sempre forte.
    sarà probabilmente come dici tu, perché hanno questa introspezione profondissima che li rende affini ad un'intimità che sentiamo appartenerci un po'...

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  2. Vero Patalice. Infatti voglio recuperarne più di uno...proprio per queste ragioni. ;-)

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