venerdì 28 novembre 2014

Francesco Dezio - Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta



“Se non foste tossicodipendenti riuscireste anche ad avere idee anarchiche, ma finché sarete fatti fino al collo avrete la testa vuota”. 

Così dice in un anonimo ufficio un uomo normale, con abito marrone da impiegato, a Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols, e alla sua compagna Nancy Spungen, nel bel film del 1986 “Sid and Nancy” diretto da Alex Cox. Questa scena del film (e questa battuta) mi è tornata in mente, per analogia, leggendo il bel libro Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta – Storie di provincia e di altri mali (Stilo Editrice, Bari 2014): otto racconti ambientati nelle città della provincia pugliese (Bari, Molfetta, Altamura, città natale dell’autore, Melpignano, Sansevero) che attraversano gli anni Ottanta, gli anni Novanta e i primi anni Duemila tra denuncia sociale e inclinazione picaresca del racconto.

Francesco Dezio aveva esordito dieci anni fa con il fortunatissimo romanzo Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli 2004), che ha dato il la in Italia alla letteratura sociale sui temi della fabbrica e in generale del (non) lavoro. A notevole distanza da quel successo letterario, in questo libro raccoglie delle storie drammatiche ma esilaranti, che sfuggono ai toni dell’autolamento standard del precario, ormai ridotto a ‘tipo’ umano, con tutta la topica, letteraria e non, che ormai ben conosciamo. Sottoponendo i personaggi ad una caustica auto-ironia, Dezio fa in modo che i protagonisti di queste storie, parlando in prima persona, rappresentino in modo grottesco innanzitutto se stessi, quasi senza volerlo: in apertura del libro ci sono due storie di tossicodipendenti, senz’arte né parte, che vogliono emulare in un ambiente ancora campagnolo le vite maledette dei punk o che praticano un anarchismo teoricamente debole, che traballa tra la lettura delle ‘fanzine’ come TVOR (Teste Vuote Ossa Rotte), i mille espedienti per comprare la droga, i tentativi di entrare in contatto con i movimenti internazionali e i gruppi musicali dell’epoca e la frequentazione dell’eroe ‘mitologico’ del posto, l’anarchico Sante Cannito, rispetto al quale sono dei minuscoli picari.
Se queste due storie di tossicodipendenza degli anni Ottanta ci invitano a tornare indietro di qualche decennio e a individuare in quel tessuto sociale sfilacciato le cause della crisi del nostro presente (non solo al Sud), i racconti successivi si ambientano in anni più recenti: impiegati ed operai licenziati da imprenditori che delocalizzano nel Sud-Est le loro fabbriche, storie d’amore a distanza, piccole odissee tra giovani costretti ad emigrare o ancor peggio a tornare… 

Il filo conduttore di queste storie è la musica, a cui i personaggi si aggrappano disperatamente e appassionatamente nella loro voglia di non cedere, di resistere ai meccanismi stritolanti della realtà: Clash, Sex Pistols, Afterhours, CCCP, Litfiba, Wretched, Kranio, Kandeggina Gang, Subsonica, Ramones, Boohoos, AC/DC, Arab Strap, fino a quasi ottanta gruppi più o meno famosi, che insinuano nel racconto le loro melodie o il loro frastuono disarmonico per assordare i personaggi e narcotizzarli dai mali delle loro vite. Su questi gruppi i personaggi dibattono come possono, ora con disquisizioni raffinate, ora con elementari citazioni di testi, in un repertorio di giudizi critici e di casi della vita, perché spesso misurano i loro dispiaceri con lo sproporzionato metro delle biografie dei giganti del rock e del punk e delle storie cantate nelle loro canzoni.

Un libro adatto agli appassionati di musica e a quanti non sanno nulla di quegli anni (nell’ultima pagina del libro c’è un’applicazione per scaricare la musica citata e farsene un’idea). Un libro che è una parodia totale: della ‘narrativa precaria’, del maledettissimo punk e rock. Perché il tempo che viviamo è così tragico da aver scavalcato ogni dramma, da averci assuefatto ad ogni catastrofe. 
E Dezio ci salva così dall'ennesimo sbadiglio.

Di Marianna Lorusso

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